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La Germania da record, l’euro e Trump in vista

Germania ha registrato un surplus commerciale da record nel 2016, che sta corroborando le posizioni prese dal presidente USA Trump e Peter Navarro capo del national trade Council circa i provvedimenti da prendere verso quegli stati che hanno un enorme surplus commerciale con gli Stati Uniti a causa di una valuta tenuta artificiosamente e consapevolmente bassa.

Le esportazioni sono salite del 1,2 per cento l’anno scorso a 1,2 miliardi di euro ($ 1.3 miliardi), secondo le stime dell’istituto di statistica tedesco mentre le importazioni sono aumentate  solo dello dello 0,6 per cento a 954,6 miliardi di euro. Che ha permesso un  surplus commerciale della Germania a 253 miliardi di euro nel 2016.

Come potete vedere dal grafico, l’esplosione della potenza esportatrice della Germania è cominciata negli anni 2000. Guarda caso proprio l’inizio dell’introduzione dell’euro.

La presenza nell’area euro di nazioni dall’alto debito e/o dalla precaria situazione economica ha fatto si che la valuta non si rafforzasse mai al punto da riflettere il surplus tedesco.

Detto in parole povere l’euro è una valuta troppo forte per Grecia, Spagna, Portogallo e Italia così come è troppo debole per la Germania.

Questo crea un vantaggio competitivo forte per i tedeschi. Se poi si pensa al fatto che un prodotto Americano quando arriva in Europa è sottoposto a tassazione IVA e dazio doganale mentre un prodotto Europeo che arriva negli States non subisce lo stesso trattamento, ecco allora che il piano del nuovo presidente Trump di modificare la tassazione può essere sicuramente un game changer, soprattutto per quelle nazioni come Germania e Italia che hanno una quota di export negli Stati Uniti rilevante.

Gli USA hanno perso dal 2000 circa il 30% della forza lavoro nel settore manufatturiero, ciò è dovuto non solo alla valuta forte ma alla abitudine delle multinazionali americane di spostare le produzioni dove è più basso il costo del lavoro.

Gli USA  solo l’unico tra i grandi paesi a non essersi dotati di una efficace normativa CFC (controlled foreign corporation) per punire coloro che localizzano attività in stati a fiscalità privilegiata, ed in più nel loro sistema fiscale c’è un buco normativo che prevede che utili realizzati al di fuori degli States siano tassati sono al momento del rimpatrio. Morale della favola: nessuna impresa americana rimpatria mai i profitti e quindi non pagheranno mai tasse.

Spero che Trump riuscirà a riportare in patria la produzione inserendo sanzioni a chi produce all’estero e poi torna a vendere in USA, e che magari anche i nostri governanti europei si sveglino e puniscano che va ad aprire fabbriche in Svizzera, Slovenia, Polonia, o dovunque ci sia una chiara disparità di costo del lavoro, così che all’ennesima telefonata dell’operatore Tim, Vodafone o oltre finalmente sentirò la voce di un ITALIANO.

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